Con i termini εὐτυχία e εὐδαιμονία gli antichi Greci indicavano la felicità. Il primo, utilizzato dai presocratici, è traducibile con il nostro “buona fortuna”, e indica una concezione di felicità di tipo individualistico, che invita ad accontentarsi di ciò che la sorte riserva. Aristotele introduce il secondo termine, che significa letteralmente fioritura, ed è dunque felice, in questa accezione, chi sviluppa appieno i propri talenti, e per farlo si dovrà relazionare con gli altri. Per questo Aristotele dice che per essere felici occorre essere almeno in due, aprendo così la via a una concezione pubblica della felicità. Nel XVIII secolo, Antonio Genovesi, titolare della prima cattedra al mondo di economia, che lui definisce “civile”, arriva a dire che non si può essere felici se non si rendono felici anche gli altri. Sono infatti i beni relazionali un elemento fondamentale e prezioso per la felicità. Ascoltiamo questi contenuti nelle parole dell’economista prof. Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e cofondatore della Scuola di Economia Civile.